Concentrazioni nella GDO, crescita del discount, crisi dell’ipermercato, presidio del punto di vendita, un uso più produttivo del dato delle carte fedeltà. L’industria fornitrice si interroga sulla trasformazione del retail e adegua il proprio trade marketing.
La distribuzione alimentare sta cambiando, anzi è già cambiata. Nella mappa competitiva si registra l’indebolimento di alcuni operatori a vantaggio di altri, l’ingresso di altri ancora. Rivoluzione digitale anche nel grocery, multicanalità ed evoluzione nel negozio si riflettono nel boom assortimentale. Alle logiche della nuova distribuzione, le organizzazioni del trade marketing e di vendita dell’industria devono rimodellare il proprio approccio ai canali, imparando a relazionarsi con nuovi interlocutori in un contesto di vendita caotico, affollato e talvolta “stressato” da una promozionalità quasi ossessiva. La battaglia si gioca ancora sullo scaffale, ma il suo esito dipende da una strategia che inizia dalla negoziazione commerciale e spesso si costruisce anche sull’analisi dei dati raccolti in campo. Questi i temi della tavola rotonda “Trade Mktg & Sales Circle”, organizzata lo scorso 14 giugno a Milano, da Largo Consumo e moderata dal giornalista Armando Garosci, cui hanno partecipato direttori vendite e responsabili trade marketing di alcune delle principali marche grocery.
I temi oggetto di discussione
Crisi dell’ipermercato, ascesa del discount, ibridazione dei format: un processo di trasformazione che impatta sulla gestione delle categorie? In che modo?
Qual è lo stato di fatto del dialogo industria-retail di fronte ai progetti di trade marketing?
Comunicazione out of store: nella scelta di acquisto che ruolo ha in negozio?
Esistono forme di promozione che non comportino la distruzione di valore?
È vero che la proliferazione dei codici Ean sta rendendo più complessa la leggibilità dello scaffale?
Manutenzione dello scaffale: quali soluzioni per contrastare le rotture di stock?
Come valorizzare il field marketing e quale modello organizzativo dare alla forza vendita?
Data driven marketing e dati di loyalty aiutano davvero i clienti a scegliere meglio? E fino a che punto le informazioni vengono condivise tra retail e industria?
Come impatta nell’organizzazione degli acquisti la trasformazione omnicanale del retail e l’avvento dei servizi di e-commerce e di delivery?
Università di Parma: tra spesa “distratta” e ibridazione dei format
Mutti: valore nella qualità percepita
«La trasformazione dei formati è un fenomeno figlio della crisi del sistema Paese, più che di una precisa volontà di innovazione o esigenze interne», ha affermato Marco Bettone, direttore vendite South Europe di Mutti. Azienda familiare con oltre 120 anni di storia, specializzata nella lavorazione e produzione di derivati del pomodoro, Mutti fattura circa 300 milioni di euro all’anno, di cui 190 in Italia. Di questo mercato, in cui registra una quota del 30%, è dunque un partecipe osservatore: «molte insegne stanno percorrendo la strada del cambiamento per adattarsi alle nuove esigenze del mercato. Non tutte hanno completato il progetto e poche lo hanno fatto in maniera corretta, cioè mettendo al centro il consumatore e cercando di comprendere le peculiarità da valorizzare nella propria offerta distributiva». Ad avere successo sono invece quelle insegne che presidiano il punto di vendita. Tra queste ci sono sicuramente anche alcune catene discount: «riescono a dare una promessa continuativa di convenienza e qualità pur con un’offerta commerciale ridotta». Il rapporto con la GDO è caratterizzato anche da una pressione promozionale elevatissima e continua: «quando si parla di passata di pomodoro, arriva al 70%! D’altro canto, la leva promozionale è un richiamo». Il rischio però è distruggere il valore, ma meno che… «Abbiamo fatto quadrato intorno alla qualità del prodotto. È una qualità distintiva per il consumatore, solo se percepita come tale. In questo modo, però, riusciamo a sfruttare le promo anche in termini di engagement».
Pastificio Garofalo: dal web una lezione alla GDO
Parmareggio: parlare di marca nella categoria parmigiano
Essity: proposta per uno scaffale vantaggioso per il retailer
«Il peso dell’industria nel suo rapporto con il trade è molto cambiato. La marca e il prodotto non sono più sufficientemente forti. Inoltre, nell’equazione sono entrati nuovi soggetti, come il discount. A seconda del mercato e della categoria, può transitare per questo canale fino a un terzo della merce e di questa solo il 25% può essere attribuita a un marchio noto. C’è poi digitale di cui, secondo me, stiamo vedendo ancora solo la punta dell’iceberg»: questa la visione d’insieme proposta da Aldo Chiaraluce, direttore vendite brand consumer goods presso Essity, multinazionale svedese specializzata nei prodotti in cellulosa. «In generale, il discount ha confuso il consumatore in senso buono, annullando le differenze di canale». Essity fattura in Italia 500 milioni di euro, realizzati attraverso i prodotti a marchio Tempo, Tena, Nuvenia, Demakup. E in carta per conto di private lable. «Da circa 20 anni, il mercato dell’incontinenza cresce del 5% ogni anno. Lo scaffale è diventato più affollato di un contesto in cui le reali innovazioni faticano a trovare il proprio spazio lineare. Più che puntare sugli accordi di esposizione e posizionamento, puntiamo sui progetti di categoria, offrendo al retailer una proposta di scaffale che possa favorire il suo giro d’affari. Inoltre lavoriamo sui dati dei consumatori per conoscere meglio il cliente». E il volantino promozionale? «È uno strumento di cui si è abusato. Oltretutto, nella nostra categoria, l’aumento delle vendite è solo apparente, in quanto si tratta in larga parte di acquisiti anticipati». In questo scenario le organizzazioni devono quindi essere più snelle anche nella gestione del punto di vendita. «C’è stato un forte ridimensionamento delle reti di vendita. La nostra mossa vincente è stata la creazione di una struttura di sell-out proprietaria con risorse dirette a tempo indeterminato, che si prende cura di oltre 1.500 iper e supermercati che vengono visitati e “manutenuti con progetti category, eventi, eccetera».
Risorsa: utilizzare il trade per fare storytelling
Il mercato è talmente cambiato e costantemente in cambiamento che, visto in chiave ciclica, non cambia affatto: questa la provocazione lanciata da Domenico Ciasca, responsabile area consulenza di Risorsa, società di consulenza e software vendor, specializzata nel migliorare la redditività dei processi commerciali. L’evidenza è un mercato che non cresce e in cui i listini sono sempre più tirati. «La complessità nella distribuzione italiana è costante. Il punto chiave è gestire questa complessità per trarne un vantaggio». Ciasca indica la necessità di utilizzare il trade per fare storytelling. «In Italia, sono poche le realtà industriali che riescono a gestire il punto di vendita in maniera continuativa ed efficace da questo punto di vista. Al di là dell’approccio commerciale, il dato può rivelarsi sempre un utile strumento di comprensione del contesto, oltre che di misurazione dei propri risultati nel punto di vendita: «i dati di sell-out sono fondamentali. E’ altrettanto importante, però, lavorare con i dati che permettono di stimare le vendite e anche realizzare promozioni vincenti o programmi di fidelizzazione efficaci e misurare a posteriore il valore delle proprie azioni nel trade. Con numeri giganteschi e dati solitamente non uniformi certamente la complessità gestionale è enorme».
Grandi salumifici italiani: il filo rosso del trade marketing
La crisi dell’ipermercato può diventare un’opportunità per chi ha bisogno di spazio per “comunicare” con il consumatore. «Per affermare il marchio all’interno del punto di vendita bisogna argomentare la propria proposta in maniera distintiva» ha indicato Costantino Petroccia, direttore trade marketing e sell-out di Grandi Salumifici Italiani (GSI). L’azienda, che dallo scorso gennaio si è fusa con Parmareggio in Bonterre, fattura 650 milioni all’anno con i marchi Casa Modena e Senfter, sub brand come Teneroni, Teneroni la Merenda, Liberamente, Giravolte presenti nella Gdo, nonché marchi specializzati quali Alcisa e Cavazzutti distribuiti nel normal trade. «Differenziamo la shopping experience per dare al consumatore stimoli diversi a seconda del canale e indirizzando in tal senso gli investimenti di trade marketing. Per arrivare a parlare con il singolo shopper, il punto vendita non è marginale.» Collaborare efficacemente con il trade è infine possibile: «alla fine del 2017, stavamo per lanciare una linea di secondi piatti pronti, ma non sapevamo se proporla nel banco frigo e in macelleria. In collaborazione con un’insegna nel Nord Est Italia, abbiamo testato entrambe le opzioni in un certo numero di punti vendita. Questa operazione è stata determinante per tastare meglio la nostra strategia». Determinante però è che nelle aziende ci sia “cultura di trade marketing”. «Senza rischiamo di perderci. In passato il trade marketing era una funzione “a chiamata”, soggetta alla vendita, subita dal mercato. Oggi invece il modello è triangolare, consumatore, venditore e trade, e il sell-out è il filo rosso che li collega. Noi oggi siamo meno persone di qualche anno f, ma più coinvolti nelle decisioni. Come team di sell-out per esempio, da rilevatori delle attività sul punto vendita, siamo diventati attivatori sullo scaffale».
Consorzio Casalasco del pomodoro
La “discountizzazione” del mercato è un elemento disrupitive del settore: non solo perché quasi il 20% del grocery passa ormai per questo canale, ma perché questa evoluzione ha condizionato le logiche della distribuzione. «Alcuni hanno reagito efficacemente. Altri meno e infatti assistiamo a concentrazioni» ha dichiarato Roberto Morelli, direttore vendite Pomì e De Rica Italia (Consorzio Casalasco del Pomodoro). Ovviamente tutto ciò ha cambiato le regole del gioco anche a monte. «Qualche anno fa c’era chi sceglieva di non lavorare con i discount o per le private lable. Oggi, l’industria deve essere “laica” o rischia di perdere il mercato e soprattutto il contatto con i consumatori». È la scelta fatta da Consorzio Casalasco, la cui produzione per il 60% è realizzata in copacking e conto terzi. «Per gestire canali diversi, bisogna essere strutturati e dialogare con attori diversi». Il trade marketing assume quindi una nuova centralità. «Ha il ruolo strategico per mantenere o aumentare il valore espositivo, evitare le rotture di stock definire e valutare promozioni vincenti, eccetera». Bisogna quindi dare al consumatore più valore: «abbiamo sviluppato un progetto basato sul modello della blockchain, in grado di garantire la tracciabilità di ogni Pomì dal campo allo scaffale».
Bonduelle: investimenti nell’analisi del consumatore
Zerbinati: dal cliente unico alla multicanalità
Italsilva: gestire le differenze interne ai canali
Sammontana: una partita che si decide in poche settimane
Saclà: un’esperienza più coinvolgente del prodotto
Cartiere Carrara: il caso del lancio di una nuova referenza
Abbiamo cercato poi di rafforzare la fiducia del trade in termini di gestione del prezzo, posizionandoci il 5-10% sotto il leader di categoria a parità di qualità. Abbiamo infine investito molto sul marchio. La nostra forza è stata uno storytelling efficace e un marketing mix assolutamente coerente rispetto al brand e al suo pay-off: “Tuscany, la bellezza della carta”». Scendere in campo è stato infine determinante: «fatta la distribuzione nei principali Ce.Di toscani e del Nord Italia, dopo pochi mesi ci siamo resi conto che il lavoro era fatto al 50%. Era indispensabile dedicare progressivamente risorse finalizzate ad assicurare la presenza della nuova gamma sui punti di vendita e la corretta execution della strategia commerciale».
Articolo apparso sul Largo Consumo che parla del Forum organizzato da Largo Consumo sul Trade Marketing, a cui abbiamo partecipato con consulenti esperti del settore.